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Monday, January 9, 2012

Unicredit: rischio fallimento o vero affare di lungo termine?

Molti investitori e traders, da diverso tempo a questa parte, hanno nutrito seri dubbi sia sul settore bancario in genere, sia sulla tenuta, in particolare, del titolo Unicredit, particolarmente colpito, in questo periodo, da ondate speculative al ribasso, contestualmente all’aumento di capitale.

Con questo report, quindi, chiariamo alcuni aspetti fondamentali, sia sul settore bancario in generale, sia sul titolo Unicredit in particolare.
Possiamo quindi delineare il seguente indice di argomenti, tra cui anche qualcuno che è spesso stato male inteso da diversi giuristi e sostenitori di teorie complottiste:
• Signoraggio bancario: è vero che le banche creano denaro dal nulla?
• E’ vero che una banca può fallire?
• Ma se una banca fallisce, cosa ne è dei suoi clienti?
• Aumento di capitale: cosa succede in questi casi?
• Analisi settore bancario.


Signoraggio bancario: è vero che le banche creano denaro dal nulla?

Ci sono tesi, in rete, che sostengono che le banche potrebbero creare, in base ad un potere quasi segretamente loro conferito dagli stati nazionali, il potere di creare denaro dal nulla.
Questa tesi, evidentemente, non trova fondamento, proprio come dimostrano le vicende del settore bancario, ed in particolare di Unicredit.
Se, infatti, le banche potessero creare denaro dal nulla, come potrebbero fallire?
Un istituto di credito, certo, può fallire (non in questo caso il titolo Unicredit, e spiego nel prosieguo il perchè), come qualsiasi altra impresa, ma se ci fosse questo potere, come qualcuno sostiene, di creare denaro dal nulla, una banca si riempirebbe di denaro creato dal nulla, e quindi non avrebbe, a differenza di tutti i comuni mortali, nessun problema di liquidità, e quindi non potrebbe mi fallire.
Tanto meno, dovrebbe utilizzare aumenti di capitale, per trovare soldi, appunto perché i soldi li creerebbe.
Non entro, in questa sede, nei meccanismi tecnici della riserva frazionaria, e di come viene gestito il cosiddetto denaro scritturale, cioè quello oggetto di prestiti, da parte del sistema, ma vi garantisco che una banca non può imprestare più denaro, diciamo, di quello che ha, per usare un’espressione non tecnica, anzi, ne impresta di meno, in base di meccanismi della riserva frazionaria.
Questo, tanto per iniziare a sfatare qualche falso mito, che rischia, per i meno esperti, di confondere le acque, anche in sede di analisi di titoli ed indici settoriali.

E’ vero che una banca può fallire?

Un istituto di credito, proprio come qualsiasi altra impresa, certo può fallire, ma se c’è una banca che difficilmente fallirà, questa è l’Unicredit.
Il fallimento è un istituto giuridico che si verifica, quando un’impresa non può far fronte all’adempimento delle proprie obbligazioni, per mancanza di liquidità.
L’Unicredit, quindi, ha deliberato un aumento di capitale, peraltro non solo per sopperire alla propria liquidità, ma anche per far fronte alle esigenze di maggior capitale, in vista di sviluppi futuri.
Ma chiariamo subito un punto: anche nel caso in cui l’aumento di capitale non andasse a buon fine, scusate il bisticcio di parole, ma…andrebbe a buon fine ugualmente.
Infatti, in linea di massima, quando un’azienda lancia, come si usa dire, un aumento di capitale per un certo importo, tutto o parte di questo importo potrebbe non trovare sottoscrittori, ma in questo caso, per l’Unicredit, è prevista una sorta di consorzio di garanzia, che sottoscriverebbe il cosiddetto inoptato.
Per inoptato si intende quel numero di diritti, che i soci hanno, di sottoscrivere l’aumento, e che non vengono sottoscritti.

E, quindi, per un’azienda normale, questo potrebbe rappresentare un problema, ma nel caso dell’Unicredit, invece, no.
La situazione, in cui una banca potrebbe fallire, è quella in cui si scatenasse un panico, tale da far si che una consistente parte di correntisti si recasse in banca a chiudere i conti.
Infatti, come abbiamo visto sopra, una banca, in base ad una precisa normativa prevista anche da parte della banca d’Italia, può imprestare un quantitativo di soldi, non pari o inferiore al proprio capitale, ma legato alla quantità dei depositi posseduti.
Una banca, quindi, può imprestare anche soldi non suoi, ma dei correntisti.
Ovvio che se ad una banca, in pochi giorni, la totalità o gran parte dei correntisti chiedesse di ritornare in possesso dei propri soldi, la banca non sarebbe in grado di far fronte a tale richiesta, e quindi fallirebbe.

Ma se una banca fallisce, cosa ne è dei suoi clienti?

Per il correntista bancario, comunque, anche in caso di fallimento di una banca, esiste una precisa normativa, a tutela dei suoi depositi.
Infatti, i soldi depositati su conti correnti bancari, godono di una tutela, in forma di rimborso, in caso di fallimento, sino a circa 100.000 euro.
La cifra potrebbe un po’ variare nel tempo, in vista di una riforma della normativa, e rimando per ulteriori approfondimenti a questo link istituzionale
http://www.fitd.it/garanzia_depositanti/garanzia_dep.htm

Se poi uno, in tal caso, non volesse sbrigarsela autonomamente, potrebbe sempre rivolgersi ad una delle varie associazioni di tutela dei consumatori e risparmiatori, che sbrigherebbe le relative pratiche.

Non dobbiamo peraltro confondere i soldi depositati presso una banca, e quindi alla medesima imprestati in tale forma, da titoli, come azioni ed obbligazioni, depositati presso la banca stessa.
Questi titoli, se relativi ad altri società, non entrerebbero nel fallimento, e quindi il loro ammontare non sarebbe a rischio, cioè non sarebbe coinvolto dal fallimento.
L’unico che, in caso di fallimento bancario, sarebbe danneggiato, è quindi che possiede azioni o obbligazioni di quella banca.
Ma, ripeto, l’unica vera situazione concreta in cui si rischia un fallimento bancario, è quando i correntisti si precipitino in massa a ritirare i propri soldi depositati.


Aumento di capitale: cosa succede in questi casi?

Quando un’azienda è alla ricerca di nuovi capitali, al fine di aumentare la propria consistenza patrimoniale,può lanciare un aumento di capitale. Praticamente, in questo caso ogni socio gode di diritti, che gli danno, secondo i casi, la possibiità di avere altre azioni, o gratis, o a pagamento.
In tutti i casi di aumento di capitale, quindi, generalmente assistiamo ad un ribasso delle quotazioni, per il semplice motivo che le quotazioni precedenti l’aumento non rispecchiano più il valore delle azioni post aumento, conseguente al fatto che un azionista che abbia sottoscritto l’aumento possiederà più azioni, dopo l’aumento stesso.
In pratica, il valore complessivo delle azioni detenute dall’azionista sottoscrittore post aumento, dovrà eguagliare il valore del numero di azioni detenuto preaumento.
Se così non fosse, si regalerebbe un valore ulteriore gratuitamente, cosa che l’azione non possiede.
L’azionista che decidesse di non sottoscrivere l’aumento, potrebbe rivendere sul mercato i relativi diritti.

Facciamo un esempio numerico.
Ipotizziamo che un aumento di capitale sia congeniato come segue:
per ogni azione ordinaria detenuta ante aumento, verrà distribuita un’azione a pagamento ed un’azione gratuita, al costo di 5 euro.
Il valore dell’azione ordinaria, prima dell’aumento, era 10 euro.
Se quindi un azionista decide di sottoscrivere l’aumento, questo significa che dopo l’aumento avrà 3 azioni, cioè l’azione che già possedeva, cui si aggiungono due azioni, quella a pagamento e quella gratuita.
Il nostro azionista aveva un’azione, che avrebbe pagato 10 euro, a prezzo di mercato, anteaumento, e quindi sborsa altri 5 euro per partecipare all’aumento di capitale.
Quindi, possiamo dire che il costo complessivo per avere queste 3 azioni è di 15 euro (10 euro per acquisto di un’azione ordinaria, e 5 euro per avere le azioni derivanti dall’aumento).
Quel’è, quindi, il costo della singola azione post aumento?
Semplice: 15/3, cioè 5.
Avete capito, quindi, perché le quotazioni tendono a scendere in caso di aumento d capitale?

In pratica, possiamo indicare la seguente formula generale:
prezzo dell’azione ante aumento+costo aumento
azioni possedute preaumento+ azioni possedute dopo.

Ma allora, come mai, considerato questo valore di riferimento, talora le quotazioni continuano a scendere ed invece, altre volte, salgono?
Il motivo è abbastanza intuitivo.
Talora si pensa che un aumento di capitale serva per sopperire ad esigenze di liquidità che starebbero a dimostrare una situazione di difficoltà finanziaria.
Altre volte, invece, si ritiene che le nuove risorse portate dall’amento servano per un piano di sviluppo che porterà l’azienda a migliori risultati economici e finanziari.
Evidentemente, nel caso dell’Unicredit, si è scatenata una speculazione, che ha fatto leva sulla prima opinione.
Ma, ripeto, l’unico caso in cui si potrebbe concretamente arrivare al fallimento, è quello di un ritiro in massa dei soldi depositati dai correntisti.
Qualche voce speculativa ha fatto anche leva sul fatto che l’aumento non sarebbe andato in porto, voce evidentemente infondata, visto il consorzio con obbligo di sottoscrizione del cosiddetto inoptato, cioè di tutti quei diritti che gli azionisti desiderino cedere sul mercato, invece di utilizzarli per l’aumento.

Quando peraltro interviene un aumento di capitale, non vale più l’analisi anche fondamentale fatta ante aumento, in quanto si dovrebbe guardare NON al bilancio attuale, ma a quelli futuri, risultanti dall’aumento di capitale medesimo.


Analisi settore bancario

Sempre fermo rimanendo, quindi, che la possibilità di fallimento esiste anche per una banca, nei casi e con le conseguenze già esaminate, dobbiamo quindi considerare realisticamente le prospettive sia del settore bancario, sia del singolo titolo.
In generale, il settore bancario è tuttora in una fase tecnica di medio/lungo, caratterizzata da un trend discendente, per quanto riguarda l’indice settoriale Ftse.
Il consiglio, quindi, è di aspettare chiari segnali d’inversione.
Preferibile, in attesa di conferme rialziste su taluni indici azionari, attualmente caratterizzati da trend neutro/laterali, come Cac 40, Ftse mib, Eurostoxx, prediligere titoli del comparto, inseriti in indici come Dow Jones o Dax, cioè indici a più chiara impostazione e forza relativa rialzista, e comunque scegliendo singoli titoli a loro volta inseriti in un quadro tecnico rialzista di medio/lungo.

E l’Unicredit?
Si possono scegliere due diverse strategie di fondo:
tranne quella remota ipotesi di fallimento, legata alle condizioni dianzi considerate, secondo diversi analisti, il titolo avrebbe, in base alle diverse ipotesi di business plan circolanti, relative agli sviluppi per gli anni futuri, un potenziale di ripresa delle quotazioni, in caso di ripresa del trend rialzista generale di borsa, compreso tra un + 150%, per il medio termine, ed addirittura un circa 10 volte le attuali quotazioni, in una prospettiva da cinque anni in su, cosa che peraltro il titolo ha dimostrato già di saper fare in passato.
In altri termini, tra gli analisti vi sono due diverse scuole di pensiero.
Chi ritiene che il management userà le risorse finanziarie soprattutto in ottica di stabilità, per cui il titolo dovrebbe seguire un trend generale di mercato, e chi, invece, ritiene che si darà particolare attenzione soprattutto a piani di sviluppo.
Ne conseguiranno, evidentemente, bilanci molto diversi, con evidenti differenti riflessi sul trend delle quotazioni.
L’alternativa, quindi, per chi non volesse affidarsi alla prospettive di bilancio, in fasi d’incertezza come l’attuale, è aspettare più evidenti segnali di ripresa rialzista, confermati al di sopra di talune trendline resistenziali di medio/lungo, che attualmente inquadrano il trend ribassista.


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